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La filosofia è come la panna montata

Laboratorio Giocando-filosofia – scuola elementare di Vezia.

Il primo incontro è sempre una sfida, soprattutto con i bambini. È il momento in cui ci si svela, ci si conosce ed è il momento in cui ci si aspetta di capire cosa significa fare filosofia. Talvolta dal primo momento si apre uno spazio privilegiato di riflessione e divertimento, altre volte si intuisce che il percorso insieme sarà utile proprio per capire che abbiamo bisogno di questo spazio che di solito non ci è concesso, per stare bene e che inaugurarlo e stabilirlo sarà l’obbiettivo degli incontri.

Con un gruppo di dieci bambini tra i sei e gli otto anni dopo un primo momento di conoscenza proviamo a capire cosa significa filosofia partendo da delle domande spontanee.

“Quanti anni ha Silvio?”

“Le cose che non sembrano vive, possono essere vive?”

“Cosa c’è nel sacchetto di Matilde?”

“ Come ti chiami Silvio?”

“ Silvio, perché hai un quaderno?”

“ Perché qualcuno sa fischiare e altri no?”

“Silvio, perché porti gli occhiali?”

“Silvio, sei un maestro?”

Domande che vanno capite e a cui va data una risposta. In fondo alla filosofia si può accedere attraverso qualsiasi domanda. Cosa succede se proviamo a domandarci cosa c’è dietro le domande che abbiamo fatto? Quali sono i presupposti delle domande?

E poi, quali di queste domande sono semplici richieste di informazioni? Quali di queste domande sono personali? Quali di queste domande non hanno una vera risposta? Quali di queste domande sono filosofiche?

Col secondo gruppo quattro, bambini tra i nove e i dieci anni, ci soffermammo a discutere su ciò che significa “filosofia”. Così di primo acchito sono emersi alcuni punti:

Filosofia è forse qualcosa che a vedere con le frasi di senso compiuto.

Forse Filosofia è qualcosa che ha che vedere con l’arte.

Forse Filosofia è saper scegliere le parole giuste, per dire il mondo come vuoi.

A questo punto introdussi l’etimologia della parola “filo” amicizia, “sofia” saggezza.

Intorno a saggezza i ragazzi mi sono sembrati abbastanza sicuri: significa sapere tutto, avere una risposta a qualsiasi cosa.

Eppure ecco, filosofia è qualcosa che ha che vedere con la saggezza, ma non è saggio, è amico della saggezza, è amore. Dunque “È sapere di non sapere”….

“mi manda in confusione questo, sembra quasi un gioco di parole. Sapere di non sapere di sapere di non sapere di sapere…. Alla la filosofia è come la panna montata, ti confonde così tanto la testa che si riempie di pensieri, come se fosse panna montata”.

In seguito visto il buon lavoro svolto abbiamo lavorato sul silenzio e la presenza, con l’esercizio dello sguardo. Ci siamo lasciati con queste domande:

“perché si ride quando si vede qualcuno ridere?”

“Cosa vuol dire tipo?”

 

Dall’identità alla responsabilità

Laboratorio di filosofia: secondo incontro. Lugano, 17 Novembre 2014

 

In dubbiamente l’identità è un piano di relazione tra il me e gli altri. Un piano che interseca un singolo con un gruppo. In questo spazio si giocano i termini di appartenenza, differenza in senso definitorio.

Eppure in origine, il termine Identità propone un altro significato: è una qualifica matematica, filosofica. “Questo precisamente”, idem in latino o tauto in greco, ciò che è per sé, e ciò dunque che è differente da altri. In un certo senso l’identità è ciò che permette alla logica stessa di esistere. A o non A non possono coesistere, sarebbe contradittorio. È con questo scopo che la carta di identità funziona. Garantisce che A sia A e non B. Garantisce che il sottoscritto sia effettivamente il sottocritto, e questo ha un valore dal punto di vista giuridico: permette che la giustizia stessa possa funzionare. Se così non fosse non esisterebbero colpevoli e innocenti. Non esisterebbe la responsabilità giuridica. Se ci siamo introdotti nel problema della identità attraverso la domanda “chi siamo?”, il termine ci conduce ad una riflessione di natura giuridica.

Sul medesimo piano si congiunge il termine di responsabilità, solo chi ha un identità precisa può essere giuridicamente responsabile. In termini di giudizio non possiamo permetterci di avere più persone che rivestono delle identità determinate. Non potrebbe esserci giustizia.

Su questo significato di garanzia che ritroviamo in Locke e in Hume il concetto di identità personale: cosa garantisce che io sia proprio io: il corpo?; il pensiero?; cosa c’è di continuo di me (nel tempo e nello spazio) che permette alla mia identità di sussistere? Solo la consapevolezza di sé, attraverso la memoria e l’immagine di me permette di concepire una continuità nell’identità. Quindi l’identità implica un piano di consapevolezza e memoria di sé. E così, tornando al piano giuridico solo chi è consapevole dei suoi atti può esserne ritenuto responsabile.

Su questo piano della costruzione della propria identità, si può inserire il pensiero di Sartre. Se l’identità non è definita a partire da qualcosa che si è di per sé, per esempio in quanto uomini, o in quanto dotati di un anima, ma è definita in un processo in cui ricorre la memoria di ciò che si è stati, di ciò che si è fatto e di come ci immaginiamo di essere,a allora, l’identità non è determinata da ciò che si è, ma solo da ciò che si fa.

Se la nostra essenza risiede solo in ciò che facciamo allora in ciò che facciamo risiede l’espressione della concezione che abbiamo dell’uomo. In questo siamo responsabili dell’idea di uomo che produciamo e manifestiamo. Non esiste un’idea di uomo che vale per ogni essere umano indipendentemente dalla storia e dai luoghi. Non possiamo essere qualficati con idea di Uomo universale, ogniuno di noi esprime con la propria vita un idea precisa di uomo. In questo senso l’esistenza precede l’essenza: di per sé non possiamo attribuirci nessuna qualifica, solo con la nostra vita con il percorso che abbiamo fatto ci definiamo. Dunque non c’è nessun dettame morale superiore e universale con cui dobbiamo fare i conti, verso cui siamo responsabili.

Dunque siamo responsabili fino al midollo dell’idea di uomo che costruiamo con la nostra vita.

Quella di Sartre è una specie di macchina concettuale. Una macchina che, se ne accettiamo le basi, ci costringe a esaminare i nostri atti in modo estremamente preciso. Certamente agiamo in un mondo di contingenze in cui sarebbe illusorio pensare di essere puri, la nostra azione è limitata, eppure abbiamo uno spazio di decisione ed azione. È su questo piano che siamo responsabili. Il protagonista della “Nausea”, alla fine del libro si trova in un bar e ascolta un vinile: l’ascolto del disco, nonostante i suoi solchi siano rovinati, permettono di vedere una forma precisa e definita. In questa immagine ritroviamo i limiti della nostra responsabilità: nonostante tutte le difficoltà e gli accidenti riusciamo con le nostre scelte a dare un senso alla nostre vita. In questo siamo responsabili. In questo senso siamo sempre e comunque imbarcati nella lotta per l’esistenza. Nei termini di Sartre l’esistenza precedere l’essenza. L’essenza non ha realtà, se non in quanto è apparsa nel piano dell’esistenza. Rovesciando in questo modo i termini della tradizione.

Questa impostazione implica molti ripensamenti e ha fatto sorgere molti interrogativi:

– L’idea di progetto che sta dietro ogni arte: “C’è un progetto dietro l’universo?”

– Le persone scelgono sempre il bene, sostiene Sartre, ma quale bene, per chi?

– La responsabilità della scelta coinvolge gli altri?

-È davvero menzogna non mettersi in questione?

– Se l’uomo diviene responsabile, quando? Come si diviene responsabili?

– Nella posizione di Sartre i bambini che fine fanno? Non sono? Esistono, ma non sono ancora, eppure già alla nascita sono pensati e progettati. E dimostrano già una identità”.

Con queste domande abbiamo concluso il secondo incontro.

Cosa si intende per “identità”?

Lunedì 10 novembre abbiamo iniziato il nuovo laboratorio di filosofia di Lugano.

Ecco le annotazioni che tratteggiano il lavoro svolto durante primo incontro:

  • Cosa si intende per “identità”?

È una domanda emersa nei primi momenti del laboratorio e che ci ha accompagnato per un’ora e mezza. Si tratta di una semplice richiesta di definizione. Eppure di per sé il fatto di porre la questione dell’identità esprime un disagio e una difficoltà verso ciò che il termine implica.

In un primo momento è emersa una ipotesi di risposta che non abbiamo vagliato approfonditamente, lasciandola in sospeso:

  • “L’identità è il modo con cui ogniuno si relaziona alle persone e alle cose”.

Abbiamo rinviato l’analisi della ipotesi forse perché ancora prematuro, ci siamo concentrati, dunque, sul comprendere le dimensioni concettuali di “identità”: quali tipo di discorsi apre?; Quali ambiti sono toccati?; Quali presupposti e quali conseguenze implica l’uso del concetto di “identità”?

Durante questa indagine preparatoria sono emersi i sequenti elementi d’esempio:

  • Carta di identità – esiste una concezione di identità anagrafica.
  • Proprio io. Io come singolo ho una mia identità
  • Attribuzione di identità – il fatto che gl altri, alterità, attribuisce un’identità a qualcuno.
  • facebook (luogo di creazione e affermazione dell’identità)

Oltre a questi esempi ci siamo posti la domanda “cosa ci dice di noi, della nostra storia, del nostro vissuto, identità?”. Dai nostri racconti è emerso un piano comune, la difficoltà di essere se stessi nel contesto in cui siamo. In altre parole abbiamo scoperto che il concetto di Identità pone uno spazio tra due poli: il me e gli altri.

  • altri <——–(identità)——–>me

Altri intesi come un complesso di genere, lingua, nazionalità, famiglia, amici, stato,… e il me inteso come personalità. Questo spazio che si trova tra me e gli altri si può definire identità. Qualcosa che ci definisce, ma che ci definisce in quanto sono presenti altri. In questo senso la mia identità è sempre in relazione agli altri.

Ci siamo lasciati con queste domande aperte:

  • “Perché e a cosa serve Identificarsi con qualcuno, con qualcosa?”
  • “È possibile Identificarsi con noi stessi?”
  • “È bene avere un’identità?”
  • “È possibile essere privi di identità?”
  • In che modo l’identità si costruisce sulla propria esperienza?
  • “Quando ci definiamo attraverso gli altri può portare ad una crisi?
  • “Qual’è la storia del termine “identità”?